La Storia di Gioia Tauro - Dal Ottocento ad Oggi

L'AVVENTURA NAPOLEONICA E LE LEGGI FRANCESI

LA REPUBBLICA PARTENOPEA

 

La nuova situazione politica, creatasi in seguito alla spedizione di Bonaparte in Egitto, spinse i regnanti di Napoli ad attaccare le posizioni francesi a Roma dopo che questa era stata occupata nel novembre 1798. Nell'estrema Calabria non si risentivano che lievemente gli effetti di tali avvenimenti politici e, comunque, l'ordine pubblico era rispettato dal rigorosissimo auditore Angelo di Fiore il quale, con continue minacce di imprigionamenti in massa, intimidiva gli animi dei cittadini specialmente di Reggio. Il 14 dicembre il Di Fiore, favorito dall'arrivo di molti soldati dalla Cittadella di Messina, arresto' cinquanta massoni che miravano a favorire l'entrata dei Francesi in Calabria. Nei giorni seguenti gli arrestati salirono a settantacinque. Intanto Roma era stata 'liberata' dai soldati di re Ferdinando IV il 27 novembre e, due giorni dopo, la popolazione romana accoglieva il Re. Il comandante francese, Jean-Etienne Championnet, rafforzatosi, sconfisse poco dopo le truppe borboniche mal comandate dal barone Carlo Mack al servizio del Re di Napoli e puntarono sulla stessa Napoli. La notte del 21 dicembre il Re, con tutta la sua famiglia, scappo' davanti all'imminente invasione e, attraverso un passaggio segreto, giunse al porto e trovo' rifugio sulla nave ammiraglia britannica di Orazio Nelson che lo porto' in Sicilia. Intanto i 'lazzaroni' procedevano sistematicamente a di-struggere tutto cio' che era collegato ai francesi.

Ma il 20 gennaio 1799, assicuratosi il progettato controllo di Castel Sant'Elmo, grazie al negoziato segreto dell'11 gennaio precedente con il Pignatelli, e grazie pure al poderoso aiuto dell'artiglieria piazzata sugli spalti dello stesso Castel Sant'Elmo, il generale Championnet, al prezzo di una vera carneficina costata la vita a tremila popolani, poteva dirsi padrone di Napoli. Due giorni dopo proclamava la Repubblica Partenopea. I francesi provvidero a riordinare l'assetto amministrativo delle regioni ed in quell'anno venne disposto che Gioja insieme ad Anoia, Acquaro, Bagnara, Cinquefrondi, Cosoleto, Crotonio, Drosi, Messignadi, Oppido, Osteria del Passo, Palmi, Polistena, Rizziconi, Rosarno, Santa Cristina, Sant'Elia, Sant'Eufemia, San Fili, San Giorgio, San Leo, San Martino, Scido, Seminara, Sinopoli, Terranova e Trizzino, fosse inclusa nel dipartimento della Sagra con sede a Seminara. Il governo instaurato cosi' ferocemente dallo Championnet era destinato ad avere una breve vita perche' di li' a poco crollo' sotto l'impeto del cardinale Ruffo e dei suoi collaboratori che in nome della Fede (Sanfedisti, quindi) riusci' a riportare i Borboni a Napoli. Il Ruffo, forse gia' nel viaggio del volontario esilio a Palermo, ottenne il 25 gennaio (e gli vennero affidati) 3000 ducati per le prime necessita' con la promessa di altri 1500. Da Palermo si diresse alla volta di Messina, due giorni dopo, in compagnia del marchese Filippo Malaspina, dell'abate Lorenzo Spaziani, del cappellano Annibale Caporossi e del cameriere Carlo Cuccaro con tre domestici al seguito.

Il 31 gennaio li attendeva Domenico Petromasi; tra otto giorni appena sarebbero ripartiti per raggiungere le coste calabresi. Allo sbarco, a Punta Pezzo, il Ruffo incontro' Antonio Winspeare, il tenente Francesco Carbone e Angelo Di Fiore. Il 13 febbraio, nominati nei rispettivi incarichi i suoi collaboratori e affidato l'incarico per gli affari di Stato al Di Fiore, il cardinale mosse alla volta della vicina Scilla. Nell'avanzata, alle porte di Bagnara ormai, si aggregarono 120 uomini provenienti da Sant'Eufemia d'Aspromonte. Il successivo 18 i Sanfedisti giunsero a Palmi da dove il Ruffo emano' un proclama per tutti i calabresi.

Due giorni dopo si reco' in mattinata a Gioja dove imparti' la benedizione ad un certo Domenico Rapina di San Procopio e quel pomeriggio vi ritorno' con i suoi collaboratori per il fondato timore di un possibile sbarco nemico. In quell'occasione gli vennero consegnati due cannoni che furono affidati all'ex caporale Larosa e riordino' le sue Forze anche perche' dai paesi vicini affluivano sempre piu' cospicui aiuti. Molti dovevano essere stati se Angelo di Fiore in una lettera datata "Gioja 21 febbraio 1799" chiedeva a Francesco Prestia e Antonio Romano in Mileto di procurare alloggi necessari per 10.000 persone, dato che il Ruffo sarebbe giunto il giorno 24 con tutti i suoi seguaci. Il Ruffo giunse a Mileto e qui lavoro' duramente con i suoi consiglieri per ordinare la grande massa di volontari confluiti in quella citta' da dove si avvio' per Monteleone (Vibo Valentia) con otto compagnie di truppa che formavano il Reggimento dei Reali Calabresi comandati dal colonnello de Settis. Il 3 aprile il Ruffo scriveva all'Acton che "le Calabrie sono ormai ridotte all'obbedienza del Re N.S. poiche' dei paesi ribelli non rimanendo altri di qualche considerazione se non Corigliano e Rossano...".

La riconquista della Calabria non poneva fine alle lotte sociali e alle violenze; il disordine amministrativo ed economico raggiungeva forme assai gravi. Il Ruffo emano' alcuni provvedimenti che avrebbero dovuto portare un po' di calma: tra i primi e' da segnalare quello della rimozione dall'incarico a governatore di Reggio del brigadiere Macedonio. Come e' evidente, favoriti dalla carenza di pubblici po-teri, le bande scorazzavano per la regione. I furti, le uccisioni, le vendette poste in atto da queste comitive di banditi erano pressoché quotidiane e trovavano, nel generale disordine, con-dizioni propizie per essere portate a termine non mancando la complicita' delle autorita' locali e, molto spesso, il sostegno di influenti proprietari terrieri. Agivano in totale immunita' operando specialmente sulle strade recando seri danni al commercio. In questi luoghi a capo di alcuni briganti vi era un certo Bruno Pizzarello. Comunque, il Ruffo entro' a Napoli il 13 giugno e re Ferdinando ritorno' sul trono l'11 luglio seguente.

 

NUOVE INVASIONI DI PIRATI

Nel mese di gennaio 1802 alcune imbarcazioni algerine e tunisine fecero naufragio nel golfo di Gioja ed i loro equipaggi, composti da 10 tripolini e 40 tunisini, furono fatti prigionieri e sottoposti a "purgar la contumacia" nella Cittadella di Messina.

 

IL PERIODO FRANCESE

NAPOLEONE BONAPARTE

Accusando i Borboni di tramare contro di lui, Napoleone Bonaparte il 27 dicembre 1805 decretava che la dinastia dei Bor-boni era ormai terminata. Il 19 gennaio seguente affido' al fratello Giuseppe l'incarico di conquistargli il regno di Napoli e questi vi riusci' agevolmente anche (e soprattutto) perche' i Borboni avevano lasciato la capitale, come sempre.

 

L'EVERSIONE DELLA FEUDALITA'

Il 2 agosto 1806, venne emanata una legge che sanciva l'eversione della feudalita', operata dallo stesso Giuseppe Bonaparte, ed i Grimaldi persero Gioja, loro possedimento da secoli. Questa legge consentiva, pero', la conservazione della nobilta' ereditaria e tutto cio' che possedevano per dominio fondiario comportando una notevole ingerenza dei Grimaldi stessi nelle attivita' dei cittadini con il possesso di animali anche a Radicena e Terranova. La normativa, tra l'altro, prevedeva il divieto dell'uso delle acque pubbliche, per scopi agricoli, usati specialmente a Gioja e Terranova. Piu' tardi il Re visito' il regno e giunto alla marina di Gioja, dopo aver rifiutato un banchetto in suo onore, si diresse a Reggio accompagnato dal vescovo di Oppido, mons. Alessandro Tommasini.

 

LA PROPAGANDA BORBONICA E L'ASCESA DI MURAT

La Piana di Gioja, fin dai primi giorni della dominazione francese, non fu immune dall'infiltrazione della propaganda borbonica; ne fa fede il seguente rapporto di Angelo di Fiore inviato alla segreteria di Guerra e Marina. "A di' 5 gennaio 1807, don Vincenzo Sapioli di Anoia, benestante di 24 anni, don Giuliano Cesareo di Anoia, benestante di 44 anni e Giuseppe Cavallaro di Palmi, negoziante di merci, depongono che, essendo stati spediti da Scilla per via di mare nella sera de' 20 dicembre coll'incarico di penetrare nei luoghi occupati dal nemico, a circa le ore 7 di notte disbarcarono nella marina di Gioia, dove affissero un proclama nel muro del palazzo della Principessa di Gerace, e nel corso della notte, ne affissero altro a Melicucco, ed in seguito si condussero nella loro pa-ria". Il 19 maggio 1807 una flotta di "trenta vele" con 700 uomini accosto' alla marina di Gioja al fine di impedire il passaggio al generale Reynier che s'era portato a Seminara per espugnarla. Ma questi, causa la forte resistenza in quella citta', torno' indietro, verso Mileto, curando bene a non farsi vedere dalle truppe borboniche. Intanto il grosso dell'esercito borbonico al comando del principe d'Assia, Philipstadt, e di Vito Nunziante da Reggio (dove erano sbarcati con 4000 soldati) si diresse verso Mileto. Il 23 seguente giunsero in Citta' alle 20 e si accamparono nei boschi vicini. Furono a Rosarno il giorno dopo e vi rimasero fino al 26. Questo periodo servi' per organizzare meglio la truppa e predisporre il piano d'attacco contro i Francesi.

Il 28, all'alba, avvenne lo scontro e, nonostante gli strenui sforzi dei soldati borbonici, gli uomini del generale Reynier ebbero il sopravvento costringendo Philipstadt ed i suoi alla fuga. Nella ritirata dovettero fare i conti con le popolazioni di Rosarno, Gioja, Palmi, Seminara e Scilla che fecero fuoco al loro passaggio. Sfumava cosi' la speranza di Ferdinando IV' di riottenere il Regno. In questo clima rivoluzionario si registrarono due avvenimenti drammatici in Citta'.

Il 16 ottobre veniva giustiziato il 19enne gioiese Giu-seppe Zappia accusato, con Giuseppe Bagala' di Palmi, di co-spirazione. Due giorni dopo, davanti al palazzo della principessa di Gerace veniva ucciso un altro gioiese, Antonio Consiglio di 30 anni.

Nel giugno del 1808 due spedizioni borboniche, salpate da Messina, sbarcarono sulla spiaggia; 400 uomini tra soldati e volontari si diressero alla volta di Palmi nel tentativo, passando per Bagnara, di assaltare il forte di Scilla, senza riuscirvi. Quell'anno i Francesi costruirono un ponte sul Petrace. Il legname provenne dai boschi di San Fantino e di Gioja di proprieta' della principessa di Gerace la quale pretendeva un congruo indennizzo. Al ricorso di costei, l'Intendenza di Reggio stabili' che era obbligo del Comune di Gioja contribuire alla costruzione del manufatto. Al trono saliva (1808) Gioacchino Murat, cognato di Napoleone. Questi, seguendo le direttive del congiunto, concentro' tutto l'esercito tra Scilla e Reggio nel tentativo di invadere la Sicilia, ben difesa dagli oltre ventimila soldati borbonici. Lo spostamento dei francesi verso il sud della regione provoco' un vertiginoso aumento del brigantaggio. L'anno dopo Murat emano' una disposizione (n. 321 del 20 marzo 1809) che si proponeva di debellare questo fenomeno criminale: si proibiva, cioe' ai contadini di portarsi il cibo in campagna e, per spezzare l'omerta' tra gli stessi briganti, venne imposto l'interdetto ecclesiastico.

Ogni Comune era obbligato a pagare all'Intendente della provincia un indennizzo di 1000 ducati qualora nel proprio territorio si fosse verificata l'uccisione di qualsiasi soldato francese. Nonostante tutte queste misure repressive, i briganti erano molto attivi nella zona. Basti pensare al Vizzarro che terrorizzava tutti i corrieri postali. Quando il brigantaggio assunse dimensioni preoccupanti, e non bastarono le continue leggi-provvedimento, Gioacchino Murat affido' al generale Carlo Antonio Manhe's il compito di reprimere il fenomeno criminale. Questi, l'anno dopo, il 9 ottobre da Monteleone (l'odierna Vibo Valentia), stabiliva le disposizioni. Ad uno ad uno i briganti vennero catturati ed uccisi. Ovunque, scene raccapriccianti..., violenze feroci...; in un anno l'Ufficiale francese aveva debellato il fenomeno. Restava in circolazione soltanto il Vizzarro e contro di lui vennero formate numerosissime pattuglie per stanarlo dalla contrada Lamia, ma senza successo. Fu la nuova compagna del bandito, Nicoletta Linardi da Seminara, ad "aiutare" i francesi, uccidendo il bandito con un colpo di fucile sparato ad un orecchio. La Linardi, infatti, aveva piu' di un motivo per arrivare a tal gesto: il bandito le aveva ucciso il figlioletto a causa dei continui vagiti.

Intanto, con l'impero napoleonico vacillante, Murat si al-leava, nel gennaio 1814, con l'Inghilterra e l'Austria e, nel set-tembre successivo, fecero la loro apparizione i primi moti carbonari. Tra i primi quello di Polistena ove Domenico Valensise invio' a Palermo il deputato Raffaele Carrano per riferire alla Corte borbonica i suoi piani bellici per riceverne approvazione e dove gli venne suggerito di prendere tempo. Il 25enne poli-stenese, invio' un nuovo consigliere, Nicola Luca', ottenendo l'autorizzazione nel marzo 1815. "Era quello un momento importantissimo ma fortunoso. Il Valensise si adoperava a tutt'uomo per chiamare a raccolta gli iscritti alla sua impresa e, come luogo di riunione, indica le citta' di Cittanova, Radicena (l'odierna Taurianova) e Polistena. In quel tempo il generale Disvernois campeggiava con la sua divisione sui piani della Corona e di Campo; a Gioja era accantonato un distaccamento del 4' reggimento di linea e l'aiutante generale Gallone, comandante militare della provincia, ve-niva percorrendo la Calabria per invitare la popolazione ad ar-marsi contro l'Austria". Il 19 aprile seguente scoppiava a Polistena la rivolta, subito repressa. Gioacchino Murat, nel frattempo, aveva perso il trono, l'8 giugno 1814 e, con pochi fedelissimi, aveva fatto un ultimo disperato tentativo per riconquistare il regno. Sbarcato a Pizzo si diresse verso Monteleone l'8 ottobre 1815 e venne catturato lo stesso giorno dal capitano Gregorio Trentacapilli. Cinque giorni dopo, munito dei conforti religiosi e dopo aver scritto una accorata lettera alla moglie Carolina, veniva fucilato alle 21.

 

RIORDINO AMMINISTRATIVO E PRIMI COMMERCI

 

Assegnato con l'atto finale del Congresso di Vienna il Regno delle due Sicilie a Ferdinando IV' (che assumera' il nome di Ferdinando 1' delle due Sicilie) questi provvide immediatamente a riordinare l'assetto amministrativo. Alla Calabria, gia' organizzata in provincie e distretti per effetto dei decreti francesi del 19 gennaio 1807 e del 4 maggio 1811, venne disposto un nuovo ordinamento con la legge del 1' maggio 1816. Per effetto di tale legge Gioia riacquistava l'autonomia comunale. A quell'epoca il Comune aveva rendite patrimoniali per 540 ducati su 608,61 che spettavano e gia' nel 1813 erano state ripristinate le gabelle per risanare il bilancio comunale. La Citta' si era estesa lungo il lato ovest dell'originario centro abitato tanto che il municipio e le influenze del marchese Agostino Serra di Cardinale presso la corte borbonica fecero si' che fossero eseguite delle opere di bonifica della zona, nel 1830, per migliorare le condizioni di vita della popolazione che vi dimorava. In sei anni la vallata divenne una meraviglia tanto che tutt'ora viene chiamata Valleamena. Modificando l'alveo del fiume Budello, vennero portate a termine, quindi, opere che consentivano il regolare deflusso delle sue acque nel mare. Per il finanziamento venne decisa una sovraimposta di due carlini su ogni botte di olio esportato dalla marina cittadina che, non essendo sufficienti, vennero integrati con fondi propri del marchese Serra a cui premeva la salvaguardia delle proprieta'. Grazie anche alla strada che la collegava con Locri e soprattutto ai traffici che vi si svolgevano, oltre che per l'ottima posizione geografica, vi confluirono dall'entroterra molte famiglie che pensarono bene di fare fortuna con il commercio proprio qui. Si deve, pure, dare atto all'enorme afflusso di campani, che per primi alimentarono i commerci, se da semplice imbarcadero divenne un notevole centro commerciale per l'epoca. La via del mare era preferita specialmente quando, nel 1844, fu stabilito un regolare servizio marittimo tra la capitale (Napoli) e Gioia.

Giunsero anche molti genovesi i quali, ottenuto il monopolio del deposito dell'olio, riuscirono poco simpatici alla popolazione gioiese tanto che nel 1845 la relazione del procuratore della Gran Corte criminale di Calabria Ultra, Libetta, evidenziava la situazione piuttosto delicata che si era creata. Lo stesso Libetta, in un altra occasione, riferiva anche che "i ristagni di acqua alla foce del Budello rendono l'aria non solo malsana, ma micidiale da giugno in poi, per cui Gioia e' e sara' un meschino paese con grandiosi magazzini per l'olio". Nel 1848 in un manifesto rivolto ai "Fratelli della Piana" ed inviato all'intendente Domenico Muratori, i commercianti genovesi venivano definiti ladri, 'scorticatori della Piana', 'infestissime arpie' e s'invitava la popolazione a ribellarsi contro di loro. Il Muratori assicurava il ministero dell'Interno che la popolazione non aveva aderito a quanto proposto allegando, pure, una risposta preparata dal dottor Giuseppe Raso di Casalnuovo (Cittanova).

Nella sua immediata replica il Raso, che rispondeva ad un anonimo Lorenzo Riscatto, si rammaricava come l'appena concessa liberta' di stampa avesse potuto spingere la gente alla rivolta e, pur riconoscendo la disonesta' dei negozianti genovesi di Gioia che approfittavano delle condizioni disagiate delle famiglie, affermava che l'accettare lo scritto equivaleva a commettere una violazione bella e buona.

 

I MOTI LIBERALI, IL RISORGIMENTO, IL REGNO D'ITALIA

ATTIVITA' LIBERALE

 

Con le continue adesioni, l'attivita' dei patrioti si faceva sempre piu' incalzante a favore della causa italiana. Dopo il tentativo del giugno 1848 dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, rimase vieppiu' negli animi il disegno di rivolta contro i Borboni in Calabria: tale attivita' era pure sentita a Gioia, Palmi, Radicena (Taurianova), Casalnuovo (Cittanova), Polistena e Reggio. Per frenare l'ondata rivoluzionaria il marchese Ferdinando Nunziante, gia' dal 1847, aveva iniziato a perseguire gli insorti riuscendo in un primo momento ad avere il controllo della situazione. Arresto' il patriota gioiese Francesco Gullace, canonico, insieme a molti altri dei paesi vicini. A carico di tutti i rivoltosi il 31 marzo 1849, si celebro' il processo a Reggio Calabria. La Gran Corte criminale (corrispondente all'attuale Corte d'Assise) composta dal presidente Cesare Mazza, dai giudici Giovanni Guglielmoni, Gerardo Carli, Vincenzo Siciliani, Nicola Nicoletti e dal procuratore del Re, Gabriele Foschini, condanno' gli oltre cento imputati. Il Gullace venne condannato, come gli altri, con l'accusa di aver commesso "fatti pubblici che abbiano soltanto in mira di spargere il malcontento contro il Governo", ed inviato al confino sull'isola di Ventotene (LT) nel 1851. Lo spirito unitario, comunque, aveva 'rapito' la popo-lazione intera e "la Calabria era divenuta 'una polveriera' che aspettava solo il fascino dell'Eroe per essere 'accesa' al momento giusto e al punto giusto". L'anno seguente, in ottobre, Ferdinando II' venne in Calabria per assistere alle esercitazioni militari fermandosi a Mileto, a Rosarno ed a Gioia ove venne ricevuto dal sindaco Luigi Baldari.

 

LA SPEDIZIONE DEI MILLE

 

Dopo la conquista della Sicilia da parte di Garibaldi e dei suoi 1088 volontari, la popolazione vedeva risolte finalmente le aspirazioni soffocate nel sangue che avevano preparato l'avanzata trionfale di Garibaldi. Le Camicie Rosse garibaldine sostennero una battaglia a Calatafimi ed un'altra a Milazzo. L'8 agosto 1860 avveniva un primo sbarco sulle coste calabre di un piccolo corpo di spedizione formato da 300 uomini (di cui 130 calabresi) con 170 imbarcazioni agli ordini di Giuseppe Missori, Alberto Mario e Benedetto Musolino. Sbarcarono nei pressi di Torre Cavallo ed il forte di Alta Fiumara non senza difficolta' in quanto vennero attaccati dai Borbonici; soltanto Alberto Mario torno' indietro a causa dell'oscurita'. Coloro che erano sbarcati dovettero fuggire per non essere catturati dagli uomini del generale Ruiz. Garibaldi, che da Capo Faro aveva assistito alla sfortunata impresa, si eclisso' improvvisamente. Ando' in Sardegna, a Golfo Aranci, con Agostino Bertani per attendere i cinquemila volontari confluiti a Genova che non giunsero mai perche' Cavour, preoccupato dal fatto che tutta la vicenda non era piu' segreta e temendo una reazione francese, non fece partire le navi per quella localita'. L'Eroe ritorno', quindi, a Capo Faro sei giorni dopo. Il 18 si reco' in visita ufficiale a Taormina facendosi vedere il piu' possibile mentre distribuiva decorazioni, stringeva mani e baciava i bambini.

Poco piu' tardi raggiunse la baia di Giardini dove lo attendevano 3360 fedelissimi e due piroscafi, il Torino (agli ordini di Nino Bixio con la sua divisione) ed il Franklin (poi agli ordini dello stesso Garibaldi), che erano giunti da Palermo aggirando l'isola da sud e sfuggendo cosi' alla sorveglianza della flotta borbonica. Nella notte tra il 18 ed il 19 agosto sbarcava a Melito Porto Salvo, sebbene le navi borboniche 'Aquila' e 'Fulminante' fossero riuscite ad avvistarlo e ad incendiare il piroscafo 'Torino'. La conquista di Reggio Calabria (20 agosto) costo' ai garibaldini circa 150 uomini, periti in uno scontro con il generale Briganti che aveva tentato di sorprenderli alle spalle.

Lo stesso generale, al primo crepiti'o di moschetti, si arrese e, in abiti borghesi, tento' la fuga. A Mileto, la sera del successivo 25 agosto, venne riconosciuto dai suoi uomini i quali gli bruciarono il cavallo e, dopo averlo ucciso, lo decapitarono e lo evirarono. Garibaldi, prima di questo tragico evento, si era accampato a Torre Cavallo proprio sotto il fuoco dell'artiglieria bor-bonica che si era fortificata al castello di Scilla. Il 24 agosto l'Eroe riusci' ad avere il sopravvento sui borbonici ed il 25 giunse a Palmi ove emano' un bollettino di guerra. Quel pomeriggio giunse a Gioja dove, con molta facilita', sconfisse le residue resistenze borboniche, ormai ridotte di numero perche' ritiratesi piu' a nord per lo scontro finale, e fu ospitato per la notte dal sindaco Baldari.

Nel pomeriggio del 27 Garibaldi entrava da trionfatore a Monteleone (Vibo Valentia). "I piu' importanti avvenimenti, dunque, della nostra mar-cia da Reggio a Napoli furono le capitolazioni di Piale, Soveria (30 agosto) e Cosenza e l'entrata mia a Napoli (7 settembre)". Pochi giorni dopo, il 21 ottobre, in un clima ancora reazionario, si svolsero le consultazioni per l'annessione al resto d'Italia. Nel meridione continentale voto' il 79,5% degli aventi diritto, i voti favorevoli 1.302.064 contro 10.302 contrari. Il 17 marzo 1861 veniva proclamato il regno d'Italia con re Vittorio Emanuele II.

 

L'UNITA'

 

Il 26 marzo 1863 Gioja, con decreto governativo pro-posto dal sindaco Luigi Baldari, ebbe l'aggiunta della denominazione Tauro, presumibilmente in ricordo dell'antica Metauros da cui ha tratto le origini.

 

OPERE PUBBLICHE E PRIMI STABILIMENTI

 

L'Unita' aveva portato un generale peggioramento perche' le gia' gravi condizioni di alcune classi sociali si erano aggravate conseguentemente all'imposizione di nuovi carichi fiscali (fatti che sfoceranno nella famosa Questione Meridionale). Nel 1864 sorse in Citta' uno stabilimento per la lavorazione della liquirizia che produsse per dieci anni. Successivamente l'impianto venne convertito per la lavorazione dell'uva ed alcuni locali vennero utilizzati come cantine. Al tempo stesso miglioravano le condizioni economiche cittadine tanto che il consiglio comunale, presieduto dal sindaco Angelo Briglia, il 13 ottobre 1874 propose al Comune di Rosarno di formare un consorzio "per la costruzione di due botti di ormeggio" da impiantarsi nella marina della Citta'1. Gli amministratori rosarnesi risposero due anni dopo, l'8 agosto. L'assessore Gangemi, con funzioni di sindaco, inizio' con l'osservare che il Comune di Rosarno era gia' consorziato per altre opere pubbliche e che le casse comunali erano sguarnite. Aggiungeva che "ritenute vere e ponderate le osservazioni dell'onorevole presidente, considerando che le botti di ormeggio nessuna utilita' arrecano a questo Comune, anzi servono per vieppiu' maggiormente il commercio in quel Comune di Gioia, mobilitandola positivamente, senza nessun vantaggio di questo Comune, ad unanimita' si rende negativo a far parte del consorzio suddetto". Nel 1887 venne completato il tracciato della ferrovia nel tratto Gioia Tauro - Nicotera3 e l'edificio della stazione cittadina venne costruito nel 1895. Da allora il centro ferroviario di Gioia Tauro é un punto nevralgico della linea Battipaglia-Reggio Calabria6, risultando essere la quarta stazione del compartimento.

Il continuo e costante aumento del traffico ferroviario ed il completamento dell'intero tratto nel 1905 fecero si' che "il 7 gennaio 1908, dietro invito dell'on.le De Nava si riunirono in Palmi, in una sala del municipio, tutti i nostri deputati al parlamento nazionale, tutti i consiglieri provinciali e tutti i sindaci e gli alti papaveri del circondario per discutere sul progetto ministeriale della ferrovia Gioia Tauro - Gioiosa Jonica con diramazioni e dopo ampia discussione" si cerco' di indurre il governo a mantenere gli impegni assunti. Lo stesso governo, con decreto n. 135 emesso il 26 gennaio 1911, stabiliva la costruzione della ferrovia, sebbene a scartamento ridotto. Il 18 gennaio 1917 veniva completato un tratto di 13 km, Gioia Tauro-Palmi-Seminara ed il 21 aprile 1928 fino a Sinopoli. Il Regio Decreto n. 2119 del 24 luglio 1919 aveva stabilito anche la costruzione dell'altro troncone Gioia Tauro - Rizziconi - Radicena (Taurianova), poi anche per Cittanova. L' 1 giugno 1924 veniva inaugurata la linea, poi prolungata fino a Cinquefrondi.

 

LA QUESTIONE MERIDIONALE

 

Il fenomeno migratorio era riesploso in tutta la sua gravita', accentuato dalle difficili condizioni economiche generali causate anche dall'abolizione dei dazi interni ed anche dalla circostanza che le industrie meridionali, fino alla vigilia dell'Unita', erano state abbondantemente sovvenzionate dal governo borbonico. Si trovavano adesso in piena concorrenza con le industrie settentrionali, che nel frattempo erano state risanate ed in grado di sopravvivere senza aiuti statali. Durante il periodo borbonico la Calabria era, per attivita' industriali, seconda soltanto all'area napoletana: si ricordano le ferriere di Mongiana e Ferdinandea, le saline di Lungro, le imprese che estraevano argento, nel bacino del Trionto, la grafite, in Aspromonte, il carbone, a Tropea e non trascurabile era la lavorazione della lana, del cotone, della seta. La crisi diventa acuta nel 1896 proprio quando a Palmi, ad opera di Giovanni Domanico e di Antonio di Bella si tiene una generale assemblea per la fondazione di una federazione che dara' il via alla formazione del partito socialista in Calabria. Vi partecipano i gruppi di Gioia Tauro, Palmi, Reggio Calabria, Nicotera, Vibo Valentia e Cosenza. L'anno dopo a Catanzaro si svolse il congresso regionale. E poi il riacutizzarsi del brigantaggio, fenomeno criminale mai eliminato (come credevano) dai Francesi. La risposta dei governanti non tardo' molto. Nell'agosto di quell'anno fu approvata una legge speciale (presentata dal deputato Giuseppe Pica) che disponeva il regime militare nelle regioni in stato di brigantaggio. L'opera di repressione impegno' circa 120.000 uomini.

 

I TERREMOTI DEL 1905 E DEL 1908

L'8 settembre 1905, prima dell'alba, violente scosse di terremoto seminano morte e distruzione in tutto il territorio della provincia di Reggio. Il Paese sembra lanciarsi in una gara di solidarieta'. Partono per le zone colpite viveri, indumenti, denaro. L'anno dopo in Citta' viene istituito un ambulatorio medico in quanto si verificarono ben 147 casi di malaria e 107 persone erano state curate. Altre 18 si erano ammalate mentre per le rimanenti si rendeva necessario lo stanziamento di 100 lire per far fronte alle prime necessita'. Il 23 ottobre 1907 un nuovo sisma sconvolge ancora una volta tutta la provincia. Nel 1908 il governo stanzio' la somma di 432 lire, che rimase tale fino al 1930 (anno della grande bonifica della Piana operata dal Nunziante). Il 28 dicembre di quell'anno, alle ore 5,21, un tremendo terremoto provoca terrificanti voragini nel terreno. Trenta secondi bastano per radere al suolo specialmente Reggio e Messina.

Gioia Tauro, avendo subi'to lievi danni, era divenuta il centro di trasporto del legname occorrente per la ricostruzione. Tanto era l'afflusso di legname e di generi di prima necessita' che la popolazione gioiese, gia' esasperata per il mancato assegnamento, l'8 febbraio seguente assedio' il Municipio. La folla tumultuante si scontro' inevitabilmente con i Carabinieri e, nei tafferugli che ne seguirono, perse la vita il caporale Antonio Barone, di 22 anni13, che si sacrifico' per difendere il sottotenente Italo Martellucci (del 40' Btg. fanteria) interponendosi tra questi e l'uccisore14 . Il 5 giugno 1910, a ricordo dell'avvenimento, per iniziativa del principe Vittorio Gagarine, venne eretto un busto raffigurante la giovane vittima, opera dello scultore romano H. St. Lerche. Il 1 dicembre 1910 furono liquidati i resti del feudo dei Grimaldi dal commissario del re, Maggio, che divise i beni demaniali tra il Comune e la principessa di Gerace16.

 

DALLA GUERRA ITALO-TURCA AL FASCISMO

 

La guerra italo-turca, scoppiata il 29 settembre 1911, impegno' circa trecento gioiesi. Durante il conflitto si distinse il soldato Luigi Partenone, del 6 Reggimento di Fanteria al quale il re Vittorio Emanuele III, con suo decreto del 22 marzo 1913, conferi' la medaglia di bronzo. La successiva guerra del 1915-18 importo' alla Citta' notevoli sacrifici in quanto tutti i giovani gioiesi (770 in tutto) furono precettati. Al termine del conflitto si registrarono 59 caduti18 in battaglia. Si distinse, fra gli altri, il sergente Giuseppe Calfapietra, classe 1891, del 20 Reggimento di Fanteria decorato sul campo a Monte Cappuccio nel luglio 1915. Altri 183 gioiesi furono insigniti con l'Ordine di Vittorio Veneto e con la croce al merito e 10 decorati al Valor Militare. La guerra aveva determinato la scarsita' di grano, ancora di piu' accentuata con il rientro dei reduci. Quell'anno (1918) la Guardia di Finanza riusci' a catturare una grossa banda di speculatori senza scrupoli che approfittavano del momentaneo disordine per contrabbandare sostanze alimentari in Citta'. Il Tribunale di Palmi, poco tempo dopo, assolveva tutti con formula piena. Nel 1919 si manifesto' un'epidemia di vaiolo accompagnata nel 1920 da terribili nubifragi su tutta la Piana. Tralasciando per un attimo tali avvenimenti, la prova che Gioia Tauro era gia' un notevole centro di smistamento e di produzione di olio ci viene attestata dalla fiducia riposta dal Banco di Napoli che apri' l'attuale filiale nel lontano 1915 a cui segui' nel 1921 la Banca Italiana di Sconto (fallita qualche anno dopo) e nel 1924 la Banca Commerciale Italiana.

 

LA BANDA MUSICALE

 

Nel 1926, con il contributo dei cittadini, venne formata una banda, molto apprezzata, che da 55 elementi fissi che la componeva raggiungeva, nelle grandi occasioni, 80 elementi. Nel 1930 a Reggio Calabria concorse alla competizione con altri complessi bandistici e si classifico' al secondo posto. Nel 1932, dopo una lunga tournée in Sicilia, venne invitata dall'EIAR di Palermo (oggi RAI-TV) da dove venne trasmessa, interamente e per tutta l'Italia, la Traviata di Verdi. L'anno seguente, per mancanza di fondi, il complesso bandistico venne sciolto.

 

IL CINEMA IMPERO, POI MAZZINI

 

 

Nel 1931, con i proventi di un contributo sui generi soggetti a dazio e con le offerte dei cittadini, il comitato 'Pro erigendo asilo infantile' acquisto' un complesso di fabbricati per la costruzione di un asilo. L'immobile venne ceduto al Comune nel 1937 che, accettatolo legalmente, vi installo' uffici pubblici. Il grosso fabbricato non poteva non interessare il segretario del locale partito fascista, De Fazio, che ottenne l'esclusiva del complesso edilizio soltanto ed unicamente per le riunioni del partito. Lo stesso De Fazio, non molto tempo dopo, ricoprendo la carica di presidente del locale Dopolavoro, penso' di promuovere una sottoscrizione per un cinema comunale. Questo venne completato, ancora una volta, con i risparmi dei cittadini gioiesi. Fino ad allora le proiezioni dei films muti venivano effettuate nella sala della Societa' Operaia di Mutuo Soccorso di via XXIV maggio e presso il Teatro Umberto in via Roma (in questo teatro operava anche la filodrammatica gioiese E. Novelli). Nel 1941 il cinema 'Impero' iniziava l'attivita' ed il Comune, avuti nuovamente i locali, li diede in affitto al Dopolavoro provinciale rappresentato ancora dal De Fazio, non piu' segretario del locale partito fascista. Una clausola, invero, molto particolare e' stabilita per la cessione del cinematografo: se il Dopolavoro provinciale non accettava la cessione, il De Fazio avrebbe dovuto restituire il locale entro sessanta giorni dalla delibera. L'impianto venne gestito, dunque, (in mancanza anche di un regolare contratto) dal piu' volte citato De Fazio il quale, da assoluto padrone, fece eseguire opere di ampliamento e di abbellimento del fabbricato lasciando al Comune 'il piacere e l'orgoglio di pagare le onerose imposte e sovrimposte fondiarie non escluse quelle sul patrimonio e non tralasciando di fare sue le rendite del cinema-teatro'. Nel 1944, dopo un lungo e penoso strascico giudiziario con il Dopolavoro Provinciale, il Comune riacquisto' il possesso del cinema 'Mazzini' deliberando la cessione in affitto 'mediante asta pubblica col metodo di estinzione di candela vergine'. Dal 1947 i nuovi gestori riuscirono a riportare il cinema Mazzini ai fasti di un tempo con discrete rappresentazioni teatrali (fra gli attori piu' noti Angelo Musco e Rosina Anselmi) anche di produzione locale, quali il Gruppo Giovanile dell'Azione Cattolica, alternando tale attivita' fino al 1954. Negli anni '70, a causa di una gravissima vicenda giudiziaria che coinvolse il gestore, il cinema venne chiuso. Sei anni dopo, ormai ridotto in uno sfasciume, venne abbattuto.

 

L'AVVENTO DEL FASCISMO – LA COSTITUZIONE DEL FASCIO

 

Il Fascio venne costituito a Gioia Tauro tra la fine del 1919 ed i primi mesi del 1920 e, con quelli di Caulonia, Laureana di Borrello e Reggio Calabria, fu uno dei primi della regione. Filippo Surace, fondatore nonche' primo segretario politico del nuovo partito, trovo' degli appassionati e validi sostenitori in un gruppo di ex combattenti e studenti tra i quali Peppino Ardizzone, Giuseppe Agresta, Saverio Bagala', Antonio Capri', Gaetano Capri', Salvatore Cavallaro, Vincenzo Chiappalone, Francesco Fedele, Carmelo Genovese, Rocco Magazzu', Gaetano Tomaselli.

Questi ebbero modo di farsi notare molto presto disturbando lo spettacolo di un circo equestre e scontrandosi duramente con i socialisti a colpi di bastone. Secondo il VERZERA furono i fascisti ad aggredire gli avversari che ripararono a Palmi. In un primo momento si penso' che questi fossero andati per chiedere aiuto e ritornare piu' tardi per vendi-carsi. Surace, con altri camerati, informati di cio', montarono la guardia al ponte sul Petrace per tutta la notte considerando di bloccar loro l'accesso. Effettivamente si erano rinforzati con alcuni uomini venuti da Reggio Calabria, ma lo scontro non avvenne mai. Altri gravi episodi si verificarono piu' tardi ad opera di Vincenzo Chiappalone, uno dei fedelissimi del segretario del Fascio, Surace. Il Chiappalone, con altri, nell'ultima campagna elettorale che si tenne prima del famoso Aventino, si presento' davanti al podio sul quale avrebbe dovuto tenere il comizio l'on.le Cefali, oratore ufficiale del partito socialista, facendo si' che questi non pronunziasse il suo discorso. Ancora il Chiappalone, il 13 dicembre 1924, ebbe l'occasione di un nuovo scontro con i socialisti al circolo Stesicoro. Vi fu una violenta sparatoria in cui persero la vita Vittorio La Capria e Rocco Zappia mentre un loro compagno, Vincenzo Agresta, rimase gravemente ferito.

 

IL PRIMO PODESTA'

 

Il 21 aprile 1927 il commendatore Francesco Starace Tripodi si insedio' al Municipio come primo podesta'. Il comitato per le onorificenze, costituito dal cavalier Galli', dal cavalier dottore Gullace e dal segretario del partito fascista, Alfonso Gargano, accolsero alla stazione ferroviaria lo Starace dopo che un lungo corteo si era formato in piazza Municipio e si era snodato per via Commercio e quindi in piazza Stazione (oggi piazza Marconi). Il podesta' venne accolto con prolungati squilli di tromba e da festosi 'alala'', come si usava allora. Lo Starace passo' in rivista le organizzazioni fasciste e le scolaresche e si diresse verso il Municipio dove, presentato dal professore Domenico De Cristo, oratore ufficiale, parlo' alla popolazione e subito dopo tenne un rinfresco. Fra gli invitati il dottor Vittorio Visalli, il ragioniere Ernesto Scianatico e l'arciprete don Pasquale de Lorenzo. In serata i festeggiamenti vennero chiusi con una 'mandolinata sotto le finestre dell'abitazione del podesta''.

 

I CONFINATI POLITICI

L'avvento consolidato del Fascismo importava tutta una serie di avvenimenti. Si ricordano quattro casi di cittadini gioiesi inviati al confino per cause politiche: - Girolamo Albanese, bracciante agricolo nativo di Gioia Tauro residente a Cittanova, ex combattente e pentecostale, arrestato nel 1939 ed inviato al confino a Pisticci (MT) ed a Garaguso (MT) piu' per il proprio credo religioso che per quello politico. Dieci mesi dopo la pena gli venne modificata in 'ammonizione'. - Domenico Messineo, contadino, arrestato nel 1942 a Mentone (Francia) per precedenti penali; confinato sull'isola di Ustica (PA) e poi a Fraschette d'Alatri (FR) riusci' ad evadere l'anno seguente. - Agostino Serafino, manovale, parteggio' in Spagna per la Repubblica. Aveva vissuto in Francia e Spagna e qui, catturato dai nazionalisti, venne tenuto prigioniero in un campo di concentramento fino al 1939. Arrestato nel 1942 al porto di Genova venne inviato al confino sull'isola di Ventotene (LT) e liberato nel 1943. - Pietro Stillitano, arrestato dai carabinieri il 4 novembre 1942 per espatrio clandestino e attivita' antifascista in Francia; inviato al confino sull'isola di Ustica (PA), venne liberato in seguito alla morte del figlio avvenuta il 18 aprile 1943. Gioia Tauro fu pure un luogo di confino: - Gioacchino Balardinelli di Corinaldo (AN), manovale, comunista, arrestato per avere detenuto materiale di propaganda utile al suo partito e, in particolare, manifesti e distintivi, giunse nel 1933; - Angelo Corsano di Roveredo in Piano (PN), contadino, apolitico, condannato nel 1934 per manifestazione sediziosa verso alcune direttive agricole del suo Comune; - Nicolo' Alberotanza di Mola di Bari, industriale, apolitico, condannato per truffa nel 1935; - Enrico Billi di Napoli, commerciante, apolitico, inviato al secondo confino nel 1937 per avere scritto lettere piene di frasi minacciose per ottenere sussidi; - Armando Celati di Castell'Arquato (PC), muratore, apolitico, arrestato nel 1937 per avere spedito esposti a gerarchi fascisti; - Giuseppe Lorenzo Cresta di Genova, mediatore, fascista, arrestato nel 1937 per traffico di valuta estera; - Cosimo Delli Santi di Brindisi, barbiere, arrestato nel 1937 per avere criticato il Duce a proposito della guerra di Spagna; - Giovanna Carditello di Sant'Alfio (CT), casalinga, apolitica, arrestata nel 1938 con l'accusa di avere causato disordini alle autorita' religiose.

 

DALLA GUERRA DI SPAGNA ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE – LA GUERRA DI SPAGNA

Allo scoppio della guerra di Spagna alcuni gioiesi partirono volontari. Tra questi spiccava il sergente maggiore Giuseppe Lo Moro, pilota, che molte volte si era distinto in operazioni belliche col proprio velivolo.

Durante un'incursione nel cielo di Spagna e dopo avere causato notevoli danni alla parte avversaria, venne abbattuto dalla contraerea e gli venne concessa alla memoria la medaglia d'oro e d'argento dal governo spagnolo nonché una medaglia dal governo italiano.

Da ricordare anche la decorazione con una medaglia di bronzo e la croce di guerra nella guerra d'Africa nel 1934.

 

LA SECONDA GUERRA MONDIALE – IL BOMBARDAMENTO DEL 20 FEBBRAIO 1943

Della seconda guerra mondiale a Gioia Tauro non se ne risentivano che lievemente gli effetti, tranne che per i giovani coscritti. Si prende coscienza dell'immane catastrofe che sta per abbattersi sulla città appena le forze dell'Asse cominciano a perdere i territori conquistati in Africa ed il fronte si sposta sul suolo italiano meridionale pressato dall'avanzata Alleata. È il 1943, sabato 20 febbraio, ore 17,25.

Un attacco aereo inglese causa notevoli danni al rione Monacelli; i piloti avevano scambiato i capannoni della grande segheria Caratozzolo per un obiettivo militare. Effettivamente nelle vicinanze vi era un distaccamento militare con una cinquantina di uomini circa.

A terra deflagrano cinque ordigni esplosivi ad altissimo potenziale che provocano la morte di 45 persone ed il ferimento di 107.

Tra i primi ad accorrere vi furono il podestà, avv. Antonio Cordopatri, e il comandante delle guardie municipali, cav. Rocco Toscano, nonché un nutrito gruppo di soldati della vicina guarnigione che cercarono di dare un primo aiuto ai feriti. "Il figlio maggiore del signor Caratozzolo portava adagiato in una carriola il padre sanguinante con la mandibola inferiore che gli pendeva sul petto. Lo portava (era ancora vivo) alla ricerca disperata di un medico, di uno dei pochissimi medici che avevamo in paese. Una corsa pietosa e senza speranza".

Dopo un lungo periodo di relativa calma il 4 agosto seguente, alle ore 13,40, un altro attacco aereo si riversa con particolare intensità nella zona della stazione ferroviaria. Sui binari vi è un treno in sosta i cui convogli (pieni di carburante) esplodono con un fragore formidabile innescando una reazione a catena sui rimanenti carri ferroviari pieni di munizioni. Nell'occasione si registrano 19 morti tra il personale mili-tare di scorta, alcuni feriti, che vengono trasportati all'ospedale di Taurianova, ed un morto tra i civili. Il giorno seguente, per i fondati timori di un'altra in-cursione aerea, gli uffici comunali vengono trasferiti a Villa Cordopatri.

Il 13 agosto successivo, giorno della festività del santo patrono, alle 13,30, un'ennesima incursione aerea si concentra ancora una volta sulla stazione ferroviaria. È evidente come le forze Alleate tentino con ogni mezzo di fiaccare la resistenza tedesca. Nell'imminenza allora dello sbarco alleato sulle coste reggine, il 2 settembre le forze dell'Asse (la 26 divisione grana-ieri, la 26 divisione corazzata e la 1 divisione paracadutisti del 76 corpo d'armato corazzato), sotto il comando del generale Anton Dostler, ricevuto l'ordine di non lasciarsi 'agganciarè, evacuano Villa San Giovanni e Reggio Calabria.

Il giorno seguente gli Alleati sbarcano a nord di Reggio dividendosi in due gruppi che opereranno uno sul lato tirrenico e l'altro su quello Jonico puntando verso Crotone. Le truppe tedesche, in ritirata verso il nord, giungono a Gioia Tauro il 4 successivo e vi distruggono il ponte ferroviario sul Petrace nella speranza di arginare l'avanzata alleata. Il 5 settembre, alle ore 11,00, avviene invece lo sbarco con i mezzi anfibi in Città della 5divisione di fanteria appartenente al 13 corpo d'armata alleato sotto il comando di sir Miles Christopher Dempsey innalzando, insieme alle truppe inglesi (giunte dopo aver guadato il fiume Petrace) le rispettive bandiere ed insediandovi, nel palazzo del Fascio, il comando militare.

Da questo momento si può dire che la guerra in tutta la Piana può dirsi finita, sebbene siano da registrare ancora una volta ignobili episodi di sciacallaggio dei viveri in danno della popolazione. Tra i 993 gioiesi partiti per il fronte, 96 sono caduti o di-spersi tra i militari e 70 caduti tra i civili, 8 decorati al valore militare, 55 croci al merito ed un encomio solenne.

 

 

AVVENIMENTI DEL PERIODO POST-BELLICO AD OGGI

- Dal 1947 al 1953, organizzato da un circolo sportivo gioiese, si disputa la gara ciclistica "Il giro della Piana".

- Il 5 febbraio 1949, nella tornata del consiglio comunale, la maggioranza respinge un ordine del giorno della minoranza di protesta per la condanna del cardinale primate d'Ungheria, Joseph Mindszenty, condannato all'ergastolo dal governo comunista di Budapest.

 

- Il 4 ottobre 1951 si inaugura lo stabilimento 'Olcà alla presenza del dirigente nazionale della Confindustria.

- Il 21 ottobre 1951, a causa delle piogge ininterrotte su tutta la Piana, crolla il ponte ferroviario sul Petrace. Il Presidente della Repubblica, Einaudi, in visita nella regione, è costretto a pernottare col treno presidenziale. Con lui c'è il ministro dei LL.PP. insieme ai parlamentari calabresi.

- Il 31 gennaio 1960 viene pubblicato 'La voce della Piana’ diretto da Domenico Pinizzotto. Il 22 febbraio 1962 viene pubblicato 'L'Eco del Golfo’.

- Il 20 luglio 1962 alla presenza delle autorità cittadine, dell'on.le Antoniozzi, sottosegretario alla Marina Mercantile e del direttore provinciale della Poste, Iacopino, viene inaugurato il nuovo ufficio postale centrale di via Sicilia.

- Il 16 luglio 1973 inizia l'attività di ricovero l'ospedale civile Giovanni XXIII i cui lavori erano stati ultimati nel 1971. È ospedale generale di zona e si presenta con una superficie complessiva di mq. 15.345. Di questi, 2.000 mq. sono occupati dall'edificio, 7.730 mq con destinazione a strade e piazzali e 5.165 mq sono di colture erbose con piante ornamentali e, intorno, alberi secolari d'ulivo.

 

I MOTI DI REGGIO

L'attuale area industriale di Gioia Tauro è intimamente collegata ad uno dei piu' grandi avvenimenti insurrezionali del dopoguerra in Italia: i moti di Reggio. Il 7 giugno 1970 si va alle urne per eleggere i consigli regionali.

Reggio, capoluogo da sempre della regione, viene a perdere quella leadership territoriale a favore di Catanzaro il 14 luglio seguente.

È la scintilla per i moti insurrezionali al grido di 'boia chi mollà e 'Reggio o mortè che per lunghissimi mesi faranno scrivere una storia amara, fatta di morti, feriti, disperazione, follia, odio, rabbia. Il missino Francesco Franco, detto Ciccio, è il capopopolo della rivolta.

La guerriglia si estende a macchia d'olio. Il 21 seguente gruppi di dimostranti raggiungono Villa San Giovanni e Melito Porto Salvo ove si registrano cruenti scontri. Il giorno successivo a Gioia Tauro esplode un ordigno sui binari, nel mentre si accinge ad arrivare in stazione il "Treno del Sole". La deflagrazione fa deragliare l'intero convoglio ferroviario provocando sei morti ed un centinaio di feriti.

Il 23 luglio la situazione migliora all'annuncio che la designazione del capoluogo a Catanzaro è provvisoria; c'è un pò di calma. Ma, non arrivando altre notizie da Roma, a settembre riesplode la rabbia; fanno la loro comparsa le bombe molotov ed il tritolo. Gli scontri piu' duri sono nei popolarissimi quartieri di Santa Caterina e Sbarre. Cinque furono i morti, oltre una decina i mutilati e gli invalidi permanenti, almeno 500 feriti tra le forze dell'ordine ed un migliaio tra i cittadini, 1261 persone denunciate di cui 825 a piede libero e 446 arrestate.

Piu' di 10.000 furono gli uomini, tra Carabinieri e Polizia, mobilitati dal Ministero dell'Interno per far fronte alla sommossa. I danni economici alla città, bloccata in ogni attività, vennero calcolati in decine di miliardi. Fu tanta l'eco dei fatti di Reggio che le televisioni di tutto il mondo, dall'americana ABC, alla inglese BBC, alla francese ORTF, alla tedesca ZDF nonché l'agenzia di stampa russa TASS, i quotidiani Times, New York Time, la Pravda e tutti i giornali italiani, furono portavoci e testimoni puntuali ed obiettivi di quei tragici momenti.

Solo la RAI-Tv snobbò gli avvenimenti divulgando, addirittura, notizie distorte e indicando come teppisti i reggini.

In quei giorni nessun uomo politico si fece vivo a Reggio, nessun rappresentante del Governo. Lo Stato era impersonato dal questore Emilio Santillo che riuscì a contenere la tragedia. Alla fine, Reggio non sarebbe stata piu' il capoluogo regionale. Nella provincia sarebbero sorti insediamenti industriali che, sulla carta, avrebbero permesso di dare occupazione a decine di migliaia di lavoratori: a Saline Joniche sarebbe sorta la Liquichimica, a Villa San Giovanni una fabbrica di morsetteria, a Gioia Tauro un megaporto industriale ed il V Centro Siderurgico.

 

LE INDUSTRIE – Il V Centro Siderurgico di Gioia Tauro

Per la Liquichimica, entrata in produzione nel 1974, si disse quasi subito che nel ciclo produttivo vi sarebbero stati elementi cancerogeni (cosa in seguito rivelatasi infondata, però nel 1982) che avrebbero messo in serio pericolo l'incolumità degli addetti. Se ne ordinò la chiusura immediata. La morsetteria di Villa San Giovanni era già nata morta dal momento che le carte erano state seppellite in chissà quale ufficio tecnico della Capitale. Il V' Centro Siderurgico di Gioia Tauro avrebbe dovuto, da solo, occupare oltre 10.700 operai. La cifra si ridusse subito a 7.500. Il giro economico che vi sarebbe stato avrebbe fatto da sicuro volano per il rilancio economico della Piana tutta e dell'intera Calabria. Per la salvaguardia ambientale, il Centro avrebbe prodotto acciai speciali (intorno a quattro milioni e mezzo di tonnellate) mediante la fusione dei metalli attraverso l'uso del riscaldamento elettrico. A completamento dell'opera ed al suo esclusivo servizio, sarebbe sorto un porto industriale. Cominciarono quindi gli espropri.

In poche settimane gli escavatori della Timperio S.p.A. di Roma (alla quale il Co.La.S., consorzio lavori sbancamento aveva subappaltato i lavori) abbatterono gli alberi ed i camions trasportarono piu' di sette milioni di metri cubi di terriccio e sabbia. Ma, mentre i lavori procedevano alacremente, facendo notare vistosamente un'immensa macchia giallastra, si aveva la notizia della crisi siderurgica mondiale per cui l'impianto di Gioia Tauro non aveva ragione di essere costruito. Allora ecco che si parla della costruzione di un laminatoio a freddo della Finsider, di un'industria di armi di precisione della OTO-BREDA, della messa in opera di un cantiere navale (la SMEB di Messina) e in ultimo una centrale elettrica alimentata a carbone. Di tutto ciò, solo l'OTO-BREDA ha visto la luce, in agro di San Ferdinando. Posta in vendita dal gruppo EFIM, cui apparteneva, verso la fine del 1992, è stata riconvertita per la produzione di autovetture Isotta-Fraschini, oggi dismessa. Solo le vicende della centrale a carbone, invero, sono state seguite con molta partecipazione dai politici locali e dalla popolazione della Piana. Già l'8 giugno 1982 il consiglio comunale, con quello di San Ferdinando, si era espresso favorevolmente all'insediamento degli impianti Enel. Concepita con alimentazione a carbone, la centrale elettrica sarebbe dovuta essere realizzata ad una distanza di 1200 m. dall'abitato di San Ferdinando ed a 3200 da quello di Gioia Tauro. Composta da quattro gruppi di 660 megawatt, avrebbe avuto la stessa potenza di un analogo impianto sito a Porto Tolle (RO), quest'ultimo alimentato a combustibile. La Centrale avrebbe prodotto 40 miliardi di kw ore e la stazione di smistamento dell'energia prodotta sarebbe stata costruita nel territorio di Rizziconi. I tempi di costruzione erano previsti in dieci anni con un'occupazione di 1800 addetti. A lavori ultimati i posti di lavoro sarebbero da 360 a 400.

Occorre segnalare, ad onor del vero, che nel momento in cui si parlò dell'impianto con alimentazione a carbone, furono composte delle delegazioni regionale e comunale che si recarono a Vado Ligure (SV), Kingsnorth e Rochester (Inghilterra) e negli Stati Uniti allo scopo di acquisire il maggior numero di dati possibili circa l'impatto ambientale della Centrale. Le prime risultanze indussero all'ottimismo. Esistono, si disse, pericoli di inquinamento, ma esistono pure tecniche già collaudate per abbattere notevolmente i principali fattori inquinanti. Un impianto a carbone della potenza complessiva di 2640 megawatt immette nell'atmosfera qualcosa come 500 tonnellate di anidride solforosa al giorno, 700.000 metri cubi all'anno di ceneri nonché una certa radioattività di fondo. Nel 1985 l'Enel ottenne dal Ministero dell'Industria l'autorizzazione per la costruzione della Centrale e già l'anno seguente lo stesso Ente elettrico modificò il progetto iniziale prevedendo il funzionamento policombustibile, cioè indifferente-mente a metano, olio o carbone con l'introduzione di desolfuratori.

I lavori per il precantiere vennero interrotti la mattina del 19 luglio 1990 allorquando tutta l'area venne posta sotto sequestro su disposizioni della Procura della Repubblica di Palmi. Il provvedimento elencava ben tredici ipotesi di reato che coinvolgevano il Consiglio di Amministrazione dell'Enel: dalla violazione delle norme urbanistiche e dell'ambiente, alla turbativa d'asta e delle norme sugli appalti. Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale, Elena Massucco, accolse la richiesta del Procuratore, Agostino Cordova, e del suo sostituto, Neri, per evitare la prosecuzione dei reati. I Carabinieri apposero i sigilli agli uffici presenti: quelli dell'Italstrade del gruppo IRI-Italstat, la Gambogi del gruppo Ferruzzi, la C.C.C., consorzio cooperative costruzioni con l'accusa di associazione mafiosa. Ad agosto il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria confermò il provvedimento della Magistratura.

Il successivo 12 novembre la 1' sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Carnevale, annullava senza rinvio il sequestro dei cantieri. Si poteva, quindi, ricominciare. Vi fu allora un accordo con il governo per riaprire i cantieri entro il 1991 ma non accadde nulla. Anzi, nell'ottobre di quell'anno esplose la rabbia dei 530 lavoratori che ridussero Gioia Tauro ad un vero campo di battaglia con azioni da guerriglia urbana che provocarono ingentissimi danni alla sede municipale, alla ferrovia, ad alcuni istituti di credito nonché alla stazione delle autolinee. Anche questa volta il governo propose un nuovo accordo: i lavoratori avrebbero ricevuto la cassa integrazione fino alla ripresa dei lavori mentre il Ministro dell'Industria avrebbe presentato al Consiglio dei Ministri un provvedimento per la riapertura immediata dei cantieri. Nel marzo 1993 il governo Amato confermava la realizzazione dell'impianto (a metano) ma a maggio il nuovo governo, presieduto da Ciampi, cancellava definitivamente l'articolo del decreto Amato. Ancora una promessa mancata. Il 29 settembre 1993 veniva raggiunta una nuova intesa con i rappresentanti del governo, Enel, Regione e sindacati.

La Centrale veniva ridotta nella taglia, da quattro a due gruppi policombustibili da 660 megawatt ciascuno ed i lavori avrebbero dovuto cominciare non piu' tardi di sette mesi impiegando per cinque anni una forza lavoro di 1800 unità fino a ridursi a 400 a lavori ultimati. Tuttavia,il nuovo governo Berlusconi decise per lo smantellamento anche dei pre-cantieri. E il porto industriale? Venne deciso dal governo Andreotti di continuare nell'opera. Il 31 marzo 1975 la Cassa per il Mezzoggiorno affidò l'appalto per i lavori di costruzione al Co.Gi.Tau (Consorzio Gioia Tauro), un sodalizio di imprese composto da imprese nazionali fra le piu' prestigiose: Astaldi, Di Penta (presidente del Consorzio), Lodigiani, Grassetto, Vianini, Gambogi, Sogene (piu' tardi si aggiungerà la Graci). Vennero pure affidati (alla Merolla di Napoli, poi fallita) i lavori per la costruzione dei raccordi stradali e ferroviari tra il porto e l'autostrada del sole.

 

Tratto da "Gioja Tauro - Vicende storiche cittadine da Metauros ad oggi"

di Pietro P. Vissicchio

Edizioni Club Ausonia

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